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Il caso Badajoz. Vogliamo salvare il calcio? Fermiamoci a riflettere

Il 21 gennaio scorso, sul sito ufficiale del CD Badajoz SAD, la società militante nel campionato Segunda B spagnola (la terza competizione del paese), aveva emesso un comunicato ufficiale (clicca qui per leggerlo) in cui si informavano soci e tifosi che il patron Joaquin Parra era in procinto di cedere le sue quote.

Esiste dunque la ferma volontà da parte della società di farsi da parte per problemi economici. Quegli stessi problemi che hanno spinto la società a non pagare gli emolumenti dei calciatori e dello staff tecnico. Per questa ragione i giocatori del Badajoz hanno scioperato lo scorso 26 gennaio 2022, non giocando il primo minuto della partita contro il San Sebastian Reyes, rimanendo a bordo campo assieme allo staff tecnico. Per la cronaca sportiva i padroni di casa, nel restanti 89 minuti, hanno avuto la meglio contro gli ospiti del San Sebastian Reyes, i quali cavallerescamente, non hanno approfittato dopo il fischio di inizio del primo minuto di gioco senza gli avversari in campo e, anzi, hanno solidarizzato con i rivali, aspettandoli sul rettangolo verde. Le reti sono state messe a segno da Gorka Santamaria  al 31’ del primo tempo e Daniel Fernandez all’8’ della ripresa per il Badajoz, e da Carlos Barrenda per il San Sebastian Reyes.

Giocatori e staff tecnico del Badajoz stanno portando avanti la stagione grazie all’autofinanziamento dei tifosi, e mai come in questo caso si può dire che il calcio è della gente.

Questa vicenda pone l’attenzione sulle problematiche del calcio dei giorni nostri. Anche in Spagna ci sono colossi come il Barcelona che stanno ridimensionando gli investimenti, ed anche in Spagna iniziano ad esserci casi come appunto quello del Badajoz. Proprio questa vicenda evidenzia ancora una volta la precarietà che possono trovarsi a vivere alcuni calciatori, soprattutto non quelli di prima fascia. Infatti va precisato che nella terza serie professionistica spagnola, così come in quella italiana, gli emolumenti non siano come superficialmente si può pensare. E dunque accade che i calciatori possano risentire del mancato pagamento di qualche mensilità e che  siano costretti a manifestare, esattamente come fanno i lavoratori normali in momenti di disagio con il proprio datore di lavoro. Sarebbe forse il caso di considerare che al netto di tutti i privilegi di cui possono godere i calciatori, questi non sono sempre dei privilegiati arricchiti, ma spesso, e per la maggior parte, sono ragazzi che hanno dedicato la vita ad una passione e che, dopo la carriera, potrebbero non avere più nulla, né tanto meno un lavoro e resterebbero senza nulla in mano l’indomani dell’appesa delle scarpette al chiodo.

Forse allora è il caso di fermarsi a riflettere. Forse è il caso che la politica intervenga per evitare situazioni come la Superlega che sarà solo l’ennesima “dose più sostanziosa” di denaro per alcuni club ormai “tossicodipendenti”. Forse sarebbe il caso che si inizi a lavorare su come calmierare i costi e su come mantenere in vita le società e a non far vivere situazioni simili ai lavoratori del mondo del calcio. I giocatori delle serie inferiori vanno tutelati perché grazie ai campionati giocati da questi calciatori, si possono formare le nuove leve per le formazioni delle massime serie. Forse bisognerebbe ripensare proprio le priorità che devono essere anteposte dai governanti del calcio. Se casi come quelli del Badajoz saranno sempre più frequenti, sarà difficile incentivare i ragazzi ad avvicinarsi al calcio, perché potrebbero temere di ritrovarsi in situazioni complicate. Perché si potrebbe pensare che sarebbe meglio non puntare su uno sport che non tutela il futuro degli atleti. Vogliamo davvero salvare il calcio? Fermiamoci a riflettere.

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