(Fonte foto: lastampa.it)
Gli antichi greci usavano due termini diversi per definire il tempo: χρόνος (chronos), cronologico e sequenziale, e καιρός (kairos), il momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale “qualcosa” di speciale accade. Kairos è la divinazione del momento opportuno. Fare la cosa giusta nel momento giusto. È una divinità che nasce dalla personificazione di un concetto.
Quando al traguardo del Fiandre mancavano meno di quattrocento metri, Mathieu Van der Poel ha smesso di pedalare per vedere ciò che accadeva alle sue spalle. Mentre le ruote della bicicletta bianca giravano per inerzia, Pogacar, Van Baarle e Maloudas lottavano contro la linearità del tempo. I secondi che si dilatavano e lo spazio che si restringeva. Van der Poel, come Kairos, aspettava il momento supremo.
Quando Kairos si è palesato, Van der Poel ha capito che quello sarebbe stato il momento opportuno. Ha spezzato l’empasse e lanciato la volata. Ha setacciato nel corpo gli ultimi scampoli di energia rimasta per alzarsi sui pedali e imporre la propria legge. Della vittoria ma anche del tempo e dello spazio.
Pogacar si è perduto in quegli instanti infiniti. Ha ondeggiato nel mezzo dei due fuochi, dopo aver inghiottito i muri di pietra come avrebbe fatto un veterano. Lo sloveno ha esitato a lungo, ha scelto l’attesa come difesa, la pazienza come virtù. Si è piegato al giudizio del tempo.
Pogacar sa essere leggero o potente. Con le sue pedalate scanzonate e letali ha spazzato via la cortina di ferro che divideva monumenti e grandi giri. Pogacar è un golpista inconscio. Ha abbozzato un’era nuova, in attesa di riscrivere la Storia. Quella dei Coppi, Bartali, Bobet, Merckx e Hinault.
Alla Storia, e a Pogacar, servirà ancora del tempo. Benedetto o dannato. Chronos o Kairos. Quantità o qualità. È lui, il Tempo, che governa e comanda. E, a volte, decide vincitori e sconfitti.
Luca Pulsoni