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Se il calcio torna a dare spazio al merito, forse riacquista credibilità

(Foto: Roberto Baggio alla recente premiazione del mondiale U20 in Argentina. Fonte: Eurosport)

Lo scrittore, giornalista, aforista e militare, originario di San Francisco, Ambrose Gwinnett Bierce affermava: “Il merito. Le qualità che dimostrano il nostro buon diritto a ottenere ciò che qualcun altro si prende.” Quanto sono ancora contemporanee queste parole? Il merito sembra aver cessato di esistere, tant’è che l’attuale governo Meloni, al momento del suo insediamento, ha deciso di modificare la denominazione del MIUR in “Ministero della scuola e del merito”. Com’era prevedibile si sono sviluppate tante polemiche in seguito a questa scelta. Alcune argomentazioni potevano avere un senso logico, altre sembravano strumentali. Ciò che forse dovrebbe spingere tutti noi a riflettere, sia cittadini che governanti, è proprio sul senso e sul peso che la parola “merito” racchiude in sé.

Clemente Del Vecchio, figlio diciannovenne di Leonardo Del Vecchio – fondatore di Luxottica – spentosi due anni fa, ha ereditato un patrimonio di 3,5 miliardi di dollari. Quale merito ha avuto Clemente Del Vecchio rispetto a un suo coetaneo figlio di un metalmeccanico o di ragazzo cresciuto in un paese del terzo mondo? Probabilmente nessuno, eppure c’è chi avrà una stradra asfaltata e in discesa e chi ce l’avrà dissestata e in salita. Giusto o sbagliato che sia, il capitalismo ha di fatto distrutto il concetto di meritocrazia proprio perché è impossibile competere alla guida di una 500 se dall’altra parte il tuo avversario ha una Ferrari. Ed infatti nello sport non esistono gare di questo tipo, semplicemente perché non avrebbero senso e non avrebbero nemmeno un seguito di spettatori. Lo sport, che in quanto tale dovrebbe conservare l’aspetto aleatorio che attrae appassionati, è l’unico ambito dove forse la parola “merito” trova ancora fondamento, anche se, soprattutto nel calcio, si sta cercando in molti modi di eliminarla anche da questo contesto. Ricordate ad esempio il progetto embrionale della Super League alla quale si poteva partecipare solo se invitati?

Se si tenesse in considerazione esclusivamente il merito anche nello sport un tecnico valido come Claudio Ranieri lavorerebbe in pianta stabile in Serie A. Invece l’allenatore romano è dovuto tornare nella massima serie solo dopo essere entrato in corsa sulla panchina del Cagliari nel campionato di Serie B e vincendo i Play Off. Un altro esempio è Paolo Maldini, addirittura cacciato via a malo modo dalla società che lui ha reso grande da calciatore e che poi ha riportato a vincere uno scudetto e a disputare una semifinale di Champions League da dirigente. La giustificazione di questa scelta sarebbe l’acquisto di Charles De Ketelaere, che oggettivamente al suo primo anno in Italia non ha reso, ma non vi è dubbio che le ragioni che hanno spinto Cardinale a disfarsi di Maldini e Massara siano altre e che vadano ricercate, ad esempio, sulla figura ingombrante dell’ex capitano del Milan.

Nonostante questi casi lo sport ed il calcio continuano comunque a racchiudere il mondo per il quale è più facile spiegare il concetto di merito. Semplicemente se sei bravo, meriti di giocare. Se ti alleni, meriti di essere titolare. Se ti comporti bene, meriti la considerazione della società. Se ti distingui per attaccamento alla maglia e per il comportamento rispetto ai tuoi compagni, meriti la fascia di capitano. Se rispetti i tuoi tifosi, meriti il rispetto anche quando decidi di lasciare la maglia che ti ha consacrato. Potremmo citare altre situazioni per comprendere cosa sia la meritocrazia, ma credo che sia abbastanza chiaro cosa significhi nello sport.

Un altro giocatore degno della considerazione di tutti gli sportivi italiani e non solo è Roberto Baggio. L’ex pallone d’oro in un’intervista rilasciata ad Esquire ha dichiarato: “Se gestissi una squadra di calcio, spenderei il meno possibile sul mercato, e il più possibile sui vivai e soprattutto sulle strutture, che sono davvero carenti”. Sapendo l’esperienza e la conoscenza del calcio in possesso del Divin Codino, come è possibile che dalla data del suo ritiro nessuno si sia mai sognato di farlo lavorare stabilmente in Federazione o in seno a qualche dirigenza societaria? La risposta è semplice e si torna sempre lì: in Italia non si dà premio al merito. Un presidente dovrebbe affidarsi ciecamente ad un conoscitore di calcio come Roberto Baggio e farsi suggerire il da farsi senza batter ciglio. Anche perché questa strategia, pur regalando i primi risultati nel lungo termine, darebbe nuova linfa anche alla nazionale italiana. Probabilmente l’ex giocatore di Vicenza, Fiorentina, Juventus, Milan, Inter, Bologna e Brescia in due righe ha spiegato qual è il vero problema dello sport più amato, ovvero il mercato che impoverisce il calcio italiano e arricchisce i procuratori.

Ci sarà qualcuno che gestisce il calcio capace di comprendere che occorre invertire la rotta rispetto alla direzione in cui si sta andando? Non è il momento di affidarsi a chi la materia la conosce? Ci sarà mai qualcuno che avrà il merito di prendere queste sagge decisioni? Evidentemente no. A dire il vero ci avevano provato con Baggio nel mese di agosto del 2010, quando fu nominato presidente del Settore Tecnico della Federazione, dal presidente della FIGC di allora, Giancarlo Abete, in accordo con il presidente dell’AIAC di allora Renzo Ulivieri, ma lo stesso Baggio lasciò l’incarico a gennaio del 2013, sbattendo la porta: “Non ci tengo alle poltrone.” disse “Il mio programma di 900 pagine, presentato a novembre 2011, è rimasto lettera morta e ne traggo le conseguenze.” Dunque non c’è da stupirsi se nemmeno una società di calcio, nonostante il patentino da allenatore di Prima Categoria UEFA Pro ottenuto nel 2012 dall’ex numero 10 della nazionale, non ha mai voluto affidargli una panchina in Serie A.

Povero calcio italiano!

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