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Ciclismo: di bici si muore! In Italia accade anche questo nel disinteresse delle istituzioni

Esiste uno sport in Italia che è diventato tra i più pericolosi. Non si sta parlando del parapendio o dell’arrampicata in montagna, nemmeno delle gare su pista di moto, macchine o Go Kart, nemmeno della discesa libera di sci: stiamo parlando del ciclismo. Nel mese di settembre 2021, avevamo raccontato in uno dei primi articoli, della triste morte di Mauro Mannucci, ciclista amatoriale che perse la vita in un incidente stradale in Abruzzo. Tuttavia la morte di Mannucci, e dei tanti che purtroppo l’hanno preceduto, è stata vana. Le ultime notizie sono da bollettino di guerra. Soltanto due giorni fa, a Montebello Vicentino perdeva la vita a 51 anni, travolto da un camion mentre si allenava in bici, il celebre Davide Rebellin, ritiratosi dall’attività agonistica soltanto nello scorso mese di ottobre. Nella serata dello stesso giorno a Codrea, in provincia di Ferrara, due ragazzi in bicicletta sono stati investiti da un Suv: uno fortunatamente non è in pericolo di vita, mentre per Manuel Lorenzo Ntube, giovane promessa del Padova Calcio di 17 anni, non c’è stato nulla da fare. In Italia si sta diffondendo la cultura dei trasporti sostenibili, ma d’altro canto manca la cultura della sicurezza e del rispetto dei ciclisti e ora anche dei monopattini. Secondo Quattroruote, infatti, che riporta i dati di Aci e Istat, solo nel 2021 per incidenti stradali sono morte 9 persone in monopattino e 220 in bicicletta: numeri da brividi.

Vincenzo Borgomeo, su Repubblica.it, in un articolo di aprile 2022, spiega, analizzando i dati del 2021 relativo agli incidenti più gravi che hanno visto il coinvolgimento di ciclisti, il record negativo di morti spetta all’Emilia Romagna e alla Lombardia con 32 decessi. Seguono Veneto con 19, Piemonte con 16, Toscana 14 assieme alla prima regione del sud, vale a dire la Puglia, infine Sicilia e Campania con 10. Nel suo articolo “Ciclisti, un morto ogni due giorni: in Italia sempre più pericoloso pedalare” Borgomeo riporta le dichiarazioni di Giordano Biserni, presidente ASAPS (Associazione Sostenitori Amici Polizia Stradale) che afferma: “L’ Osservatorio Ciclisti 2021 testimonia ancora una volta di più quale sia la vulnerabilità di questa utenza. Numeri che superano il 2020 derivati anche da un maggior utilizzo delle due ruote durante l’emergenza da pandemia. Numerosi incidenti hanno visto il coinvolgimento di velocipedi anche a pedalata assistita ed elettrici. Ci preoccupa il fenomeno dei pirati della strada, che non scompare nonostante l’inasprimento delle pene, e ci preoccupa l’età media dei deceduti, con molti casi di ultra 65enni, il più anziano ciclista è stato un 93enne. Chi sperava in una diminuzione dei decessi con le nuove regole introdotte nel 2020, è rimasto fortemente deluso. Servono maggiori infrastrutture dedicate alla mobilità ciclistica con piste e corsie ciclabili effettive e protette.”

Eccolo il punto principale di queste tragedie: l’assenza di infrastrutture dedicate alla mobilità ciclistica con piste e corsie ciclabili effettive e protette. Tuttavia anche l’aspetto culturale degli automobilisti deve decisamente cambiare. Perché è naturale che un ciclista sportivo non possa allenarsi su una pista ciclabile urbana, ma debba necessariamente utilizzare la strada. La scarsa sicurezza per i ciclisti professionisti è certificata anche dalle dichiarazioni di Andrea Vendrame, ciclista trevigiano rimasto in coma per settimane nel 2016 a seguito di un incidente, il quale al Corriere del Veneto ha dichiarato: “Una volta i team delle giovanili da tutta Europa venivano in ritiro in Toscana, ambiente ideale per gli allenamenti, sa cosa succede oggi (rivolgendosi all’intervistatore. Ndr)? non ci vengono più, perché le strade qui non sono sicure, ora i ritiri si fanno in Spagna, dove il governo ha previsto multe salatissime per gli automobilisti che superano senza rispettare il metro e mezzo di distanza dal ciclista in strada”.

Nonostante le parole di Biserni, la denuncia di Vendrame, e le parole del Ministro dei Trasporti e delle infrastrutture, Matteo Salvini il quale, con una lettera inviata alla Gazzetta dello Sport, spiega cosa  intende fare per porre un freno alle stragi di ciclisti sulle strade, nonostante tutto questo nell’ultima manovra il Governo italiano, di cui lo stesso Salvini è ministro, ha azzerato i finanziamenti destinati alla ciclabilità urbana. Come è possibile correre ai ripari senza fondi?

Possiamo dunque dire che l’Italia è e resterà un paese non sicuro per i ciclisti. A seguito della decisione del governo, “Clean Cities”, “Fiab”, “Kyoto Club”, “Legambiente”, “Greenpeace”, “Transport & Environment e Cittadini per l’aria” hanno pubblicato una nota congiunta nella quale affermano che “L’azzeramento delle (poche) risorse per la ciclabilità in legge di bilancio è una proposta inaccettabile, che ci riporta indietro di decenni, e che impedisce alle Amministrazioni locali di rendere le nostre città davvero ciclabili, riducendo l’uso dell’automobile privata. Va corretta immediatamente in Parlamento. Altro che azzerare i fondi: bisogna incrementarli”.

Possibile che nonostante i numeri da bollettino di guerra il governo italiano non tuteli la sicurezza dei ciclisti? Purtroppo non possono bastare le parole del ministro Salvini, ma servono fatti. Con quale coraggio la presidente del consiglio Meloni esprime il cordoglio per la morte di Rebellin e nel mentre azzera i fondi per la sicurezza della ciclabilità urbana? L’auspicio è che il ministro delle infrastrutture, oltre ad agire sulla prevenzione, agisca sulla messa in sicurezza delle strade e delle piste ciclabili, e che il ministro dello Sport, Andrea Abodi, tuteli il ciclismo come sport e che riesca a porre la lente di ingrandimento sulla fuga dall’Italia per gli allenamenti. Ad oggi, purtroppo, temiamo che allo stato attuale, con i provvedimenti presi nella manovra di bilancio, l’unico risultato sarà quello di mantenere alta la statistica dei morti sulle strade per chi pedala.

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